Luca Pancalli, CIP: lo sport è integrazione, inclusione, cultura

Il decimo appuntamento di #NienteDiSpeciale vede come protagonista Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico: sport, tecnologie al servizio dell'autonomia, consapevolezza dei rischi, emergenza e disabilità

La redazione di Abili a proteggere ha intervistato Luca Pancalli, presidente del CIP, il 12 febbraio a Roma presso la sede del Comitato. Il Dipartimento della Protezione Civile e il Comitato Italiano Paralimpico sono reciprocamente impegnati nella diffusione della cultura della prevenzione e della sicurezza, con particolare riferimento alle persone con disabilità, grazie ad un Protocollo d’intesa, rinnovato il 4 ottobre 2017. Al centro dell'intervista lo sport, inteso come strumento di inclusione e integrazione, il ruolo delle tecnologie nel percorso di autonomia delle persone con disabilità e il tema della consapevolezza dei rischi per tutti i cittadini. Nell'articolo è presente un estratto dell'intervista al presidente del CIP, Luca Pancalli, visionabile integralmente sul nostro canale Youtube.

L’apporto di tecnologie sempre più avanzate può cambiare il modo di concepire lo sport?

Siamo in un'altra era, io che ho la sfortuna e la fortuna, perché poi è pure bello vivere i momenti di trasformazione qualunque sia un pezzo di storia del nostro Paese, della nostra società, delle nostre vite personali, di vivere la disabilità da 37 anni, siamo passati dal bianco e nero al colore. Oggi la tecnologia consente una vita sempre migliore, in condizioni di autonomia. Naturalmente ci sono i problemi di chi, con disabilità gravi e gravissime, lotta per una vita indipendente e sono altro genere di problemi per i quali dobbiamo essere anche noi sempre aggiornati per tentare di aiutare con i nostri ambasciatori dello sport. La tecnologia ha modificato tanto, ha modificato sia la vita quotidiana, ma una fra tutte per noi (in carrozzina) piuttosto che per i non vedenti e altre forme di disabilità, la tecnologia oggettivamente è andata a colmare quel gap rispetto a una vita autonoma indipendente: i pesi delle carrozzine, le ruote elettriche che consentono a chi sta come noi in carrozzina di essere trainati, ma ce ne sono mille altre e sarà sempre meglio, perché sicuramente la tecnologia non si ferma. Oggi paradossalmente gli interessi dell'autonomia rispetto alle persone disabili sono molto più allargati perché hanno preso ad interessare anche tutta quella popolazione sempre più anziana, perché la vita media si prolunga, verso i quali ci sono degli interessi che magari dal punto di vista proprio biecamente commerciale di aziende e quant'altro prima non c'erano, per cui questo sta trainando ovviamente forme di attenzione delle quali poi beneficiano le persone disabili.

Lo sport per un ragazzo con disabilità oltre a rappresentare una valvola di sfogo può rappresentare un modello di integrazione col mondo circostante e nella società in cui vive?

Lo sport, a mio modo di vedere, è un pezzo di politica pubblica di un Paese tesa ad andare a occupare quella dimensione che io definisco di welfare attivo. Lo sport è integrazione, lo sport è inclusione, lo sport è cultura, lo sport non è solo agonismo. Nell'immaginario collettivo nel nostro Paese associamo il termine sport ai campioni, ai campionati, alle olimpiadi, paralimpiadi e quant'altro. Lo sport è ben altra cosa, lo sport è uno strumento di politiche sociali attraverso le quali si può far crescere un Paese sotto il profilo culturale come fa il mondo paralimpico silenziosamente. I nostri campioni danno un'immagine declinata in positivo della disabilità, ma non sono migliori di altri, a loro è stata data l'opportunità di esprimere al massimo le loro abilità residue, quindi sono stati messi nelle condizioni di esprimere ciò che possono fare, quindi guardare a ciò che è rimasto e non a ciò che hanno perso. Questo accade nello sport e noi vorremmo che questa "filosofia" fosse declinata nella vita di tutti i giorni di una persona disabile, per i percorsi non soltanto di acquisizione di vita indipendente, ma nei percorsi di formazione, istruzione, nei percorsi di inclusione sul posto di lavoro. Quindi lo sport, a mio modo di vedere, deve essere assolutamente visto uno strumento di inclusione e integrazione, come una chiave, un grimaldello per tentare di far crescere il Paese.

A suo parere, la percezione dello sport paralimpico è cambiata?

Assolutamente sì, noi siamo passati dal cercare di vedere tra le varie ed eventuali di qualche giornale se qualcuno si fosse ricordato delle nostre prestazioni agonistiche, parlo di tanti anni fa, a ambasciatori dello sport paralimpico e dell'idea del paralimpismo che ha per l'appunto la mission di contagiare positivamente le società civili non solo in Italia, ma in tutto il mondo attraverso grandi campioni, penso ad Alex Zanardi, Bebe Vio, Martina Caironi, Oney Tapia, Giusy Versace, Federico Morlacchi nel nuoto, ne abbiamo 3000. Oggi sono diventati dei protagonisti per le loro gesta sportive naturalmente, per i loro risultati perché rappresentano la punta dell'iceberg di un grande movimento che poi in maniera quotidiana e perseverante tenta di dare la medesima opportunità di rispetto al diritto dello sport a tutti i cittadini disabili.

Come nello sport anche in protezione civile la preparazione è fondamentale, pensa che le istituzioni facciano a sufficienza per tutelare e preparare in maniera adeguata le persone con disabilità ad un'emergenza?

Secondo me non viene proprio fatto, è un tema che con il Dipartimento della Protezione civile avevamo aperto nel senso che in situazioni di emergenza, come e in che modo le persone che hanno delle difficoltà, qualunque esse siano, possono essere consapevoli del loro livello di rischio rispetto all'emergenza che si determina ma soprattutto come e in che modo poter intervenire. La Protezione civile sicuramente sta facendo un ottimo lavoro di attenzionamento rispetto a questo tema, a mio modo di vedere però deve andare in parallelo rispetto alla sensibilizzazione nei confronti delle persone, un po' come si fa con i bambini a scuola quando si insegna come reagire o come mettersi in fila per uscire da scuola. Quindi da questo punto di vista dobbiamo ancora lavorare di più, io non so se ciascuno di noi è consapevole o fatalista, chi ha avuto degli incidenti o delle patologie gravi ha questo modo di approcciare, però è anche vero che bisognerebbe imparare a sviluppare una coscienza in termini di responsabilità personale che va condivisa anche con chi è deputato all'assistenza in caso di emergenza e questo è sicuramente qualcosa sul quale bisogna lavorare sempre di più. Io ho vissuto un terremoto in Grecia, ero in vacanza, erano scappati tutti, io ero rimasto solo, poi non è successo fortunatamente niente però non avrei saputo come uscire da quella stanza perché la carrozzina se ne era andata e tutti erano scappati. Dico questo per far capire che probabilmente una maggiore forma di educazione e di coscienza civile nella comunità avrebbe potuto rappresentare, anche se in quel caso non è successo nulla, un aiuto che avrebbe potuto evitare un evento sfortunato. In quell'occasione che cosa ha percepito? La solitudine, la solitudine da un lato assolutamente legittima perché avevo dei bimbi piccoli per cui mia moglie si prese cura dei bambini, ma del gruppo nessuno si era ricordato che c'era un povero cristiano dentro una stanza. Erano scosse di terremoto molto forti che avevano creato una certa apprensione però in quel caso ti senti assolutamente solo e non sai assolutamente come affrontare quel tipo di emergenza. Secondo me la coscienza civile è educare, ma non soltanto coloro che sono preposti all'intervento, la protezione civile piuttosto che le forze dell'ordine ma io credo che sia un problema di cultura della cittadinanza, oggi noi sempre più, ahimè, andiamo incontro per svariati e mille motivi a situazioni di emergenza che possono essere le più differenti. Credo che una maggior educazione del cittadino a come reagire in condizioni di emergenza sia assolutamente fondamentale.

L'intervista al presidente Luca Pancalli è disponibile nella versione integrale e sottotitolata sul nostro canale youtube Abili a proteggere. 

Niente di Speciale è la sezione del sito dedicato alle interviste della redazione Abili a proteggere, perché non esistono bisogni speciali ma specifiche necessità

Ringraziamo Luca Pancalli e il responsabile ufficio comunicazione del CIP per la disponibilità e collaborazione dimostrate.

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